lunedì 17 marzo 2008

La crisi del capitalismo
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Il capitalismo attualmente vive una crisi drammatica, una crisi che non appare congiunturale, ma una crisi che per certi versi appare epocale, forse definitiva. Il capitalismo vive una crisi permanente in tutte le fasi della sua esistenza, ma ogni periodo ha le sue peculiarità. Il punto debole dell’economia capitalistica è il profitto, per sopravvivere deve produrre plusvalore e questo può farlo soltanto attraverso lavoro non pagato agli operai e ai lavoratori. Ma la produzione di plusvalore, quello che assicura l’esistenza della borghesia e dei rapporti di classe esistenti è minato da due fattori come descritto da Marx. Il primo è la sovrapproduzione che si manifesta in un surplus di merci, di cultura, di civiltà, la cui messa sul mercato farebbe crollare i prezzi e quindi i rapporti sociali esistenti, la seconda il calo progressivo del tasso di profitto. L’economia capitalistica più va avanti nella storia, più produce un calo del tasso di profitto nonostante tutte le politiche economiche, sociali, culturali, militari che pone in essere, il tasso di profitto diminuisce sempre, costantemente, inevitabilmente, e questo pone la necessità costante di una regressione continua della società, che anziché fluire in avanti, viene spinta artificialmente e costantemente verso il passato. I cicli economici che ha attraversato l’economia capitalistica nel ventesimo secolo sono tre. Il Fordismo, il Keynesismo, il neoliberismo. Il Fordismo fu il precursore della robotizzazione, con la suddivisione e parcellizazione dell’attività produttiva iniziarono le produzioni su larga scala moderne, ciò provocò sicuramente un aumento smisurato delle merci, ma aumentò anche a dismisura l’alienazione operaia e l’accelerazione del processo di trasformazione in macchina dell’uomo. Tuttavia il Fordismo portò alla gravissima crisi delle borse del 1929, una sovrapproduzione talmente grande da portare al collasso finanziario la gran parte delle industrie , del commercio, della finanza. La disoccupazione di massa portò gli operai a livelli di povertà inauditi, l’economia capitalistica si trovò ad affrontare una situazione potenzialmente rivoluzionaria. Nacque allora il Keynesismo, gli stati dovettero acquisire aspetti socialisteggianti, dovettero trasformarsi in imprenditori, quindi investimenti nelle opere pubbliche, quindi lo stato sociale. Questo periodo è durato circa 50 anni fino agli inizi degli anni ottanta. Il capitalismo abbandonò il Keynesismo perché questo modello pur risolvendo dei problemi ne creava altri. Risolse il problema delle immense sovrapproduzioni con accordi commerciali internazionali tra le grandi nazioni capitalistiche, risolse il problema della povertà di massa con le sovvenzioni pubbliche, risolse il problema della scarsa predisposizione dei capitali privati ad investire in opere a carattere sociale e pubblico. Ma il Keynesismo provocò altri problemi, L’aumento della domanda e dei mezzi esistenti per soddisfarla, la riduzione dei tempi di lavoro e il tempo libero acquisito dai lavoratori produssero negli anni sessanta e settanta un aumento dei bisogni, delle aspettative, delle necessità sia degli operai che dei popoli in generale. Una piena attuazione di questi bisogni avrebbe messo in crisi i rapporti sociali, i rapporti di produzione, i rapporti di classe. Le necessità del capitalismo produssero quindi agli inizi degli anni ottanta il neo-liberismo, la deregulation dell’economia ed ebbe i suoi epigoni in Ronald Reagan e Margareth Thacher. Il capitalismo doveva distruggere i bisogni e le aspettative create, doveva necessariamente distruggere le certezze e le garanzie operaie e così è stato in questi ultimi trenta anni. La deregulation ha dato il via allo sfruttamento globale e intensivo della classe operaia mondiale e questo aspetto viene generalmente definito come globalizzazione. In ogni paese il neo-liberismo ha agito partendo dalla situazione data. In Italia dove le conquiste operaie erano state notevoli e consistenti questo processo ha incontrato notevoli resistenze , tuttavia è andato avanti, producendo effetti devastanti. La sterilizzazione della scala mobile, l’annichilimento delle pensioni, il blocco dei salari, l’inflazione provocata dall’euro mascherata dalle false statistiche Istat che ha di fatto dimezzato i salari negli ultimi 7 anni. Adesso sembra essere arrivato alla sua conclusione anche il ciclo del neo-liberismo. Gli effetti benefici che l’economia capitalistica aveva avuto negli ultimi trenta anni non si manifestano più e l’economia capitalistica si dibatte in una crisi che allo stato non sembra avere vie d’uscita e cosa ancora più grave il capitalismo non sembra essere più in grado nemmeno di produrre una teoria economica che gli permetta di affrontare e superare questa fase. Negli anni ottanta si teorizzò che gli aumenti salariali erano la causa prima dell’inflazione, oggi dopo anni di blocco degli stipendi sta scoppiando di nuovo l’inflazione. E’ la conferma scientifica della infondatezza di quella teoria. Lo sviluppo capitalistico di paesi economicamente arretrati come la Cina e l’India non ha spinto all’evoluzione gli operai di quei paesi, ma ha il solo effetto di far diminuire il prezzo del lavoro operaio. Nei paesi avanzati il costo del lavoro viene sospinto, inevitabilmente, necessariamente verso il basso. La diminuzione del costo del lavoro si evidenzia nella quantità di lavoro non-garantito. La quota di lavoro precario in Italia ha già raggiunto un terzo della totalità della forza lavoro, e sono salari generalmente inferiori ai 1000 euro mensili, nei prossimi anni questa quota aumenterà sospingendo gran parte dei lavoratori verso livelli di vita di indigenza e di povertà. Ma la compressione e la diminuzione dei bisogni e delle necessità di vita nel mondo avanzato occidentale non può avvenire in tempi rapidissimi come le esigenze del capitalismo necessitano. Quindi le prospettive politiche che il capitalismo ha davanti sono il sospingimento dei salari operai verso forme proto industriali se non addirittura semi-schiavistiche e un sistema repressivo che sospinga nella illegalità qualsiasi forma di dissenso di critica di ribellione. Questo è lo schema adottato in Germania con la Grande Coalizione, questo sembra lo schema verso cui si sta avviando L’Italia con l’accordo Veltroni-Berlusconi. Ma anche questo schema, apocalittico per i lavoratori, non fornisce nessuna certezza sulla risoluzione della crisi capitalistica attuale. Infatti la Borghesia si divide su due ipotesi economiche. Un neo-protezionismo, modello economico sostenuto da Tremonti e le destre, e un’accentuazione del modello neo-liberista, ipotesi sostenuta da Veltroni. La sinistra arcobaleno Bertinottiana si attesta su posizioni neo-Keynesiane che non hanno più alcuna attinenza con la realtà, né alcuna possibilità di realizzazione. La crisi drammatica del capitalismo attuale è testimoniata dal crollo continuo, permanente inarrestabile delle borse mondiali negli ultimi mesi. Il capitalismo aveva creato una rete di protezione mondiale per evitare crolli drammatici delle borse con il meccanismo di sostegno delle Banche Centrali che intervenivano ogni volta che c’era un calo degli indici borsistici. Le Banche fornivano liquidità e mezzi finanziari alle imprese in attesa della ripresa. Questo meccanismo ha funzionato per tutti gli anni 90, le imprese dopo momentanei crolli, si riprendevano e il ciclo continuava abbastanza normalmente. Le prime avvisaglie di una crisi drammatica si sono avute tra il 2000 e il 2001, le banche nonostante aiuti consistenti non riuscivano a far riprendere l’economia, provvidenziale fu paradossalmente l’11 settembre, che con le guerre infinite in Afghanistan ed Iraq e con una stretta repressiva ed economica hanno permesso una relativa stabilità negli ultimi 7 anni. Ma il mostro della crisi esorcizzato in tanti modi adesso si ripresenta più minaccioso che mai, poiché le armi che il capitalismo ha in mano per superarla sono sempre più esigue e rischiosissime. Queste armi potrebbero essere un conflitto atomico con l’Iran o la Cina, o politiche repressive senza precedenti all’interno dei singoli paesi, ma gli esiti ultimi sull’uso di armi di questo genere nessuno può prevederli, tanto meno gli strateghi militari ed economici del capitalismo mondiale. Nell’ultimo anno il crollo degli indici borsistici è continuo, quotidiano, inarrestabile, nonostante le Banche Centrali stiano impiegando risorse finanziarie enormi il crollo continua e non sembra esserci forza al mondo capace di arrestarlo. Può essere questo finanziamento artificiale delle imprese capitalistiche la causa dell’inflazione attuale? Fin quando e per quanto tempo le Banche potranno sostenere questa situazione? Non c’e’ il pericolo di una inflazione incontrollabile o addirittura la bancarotta globale del sistema capitalistico mondiale? La situazione economica e politica mondiale, quindi, sospinge sempre di più gli operai e i lavoratori verso una prospettiva e una necessità rivoluzionaria. Marx diceva che gli operai non hanno niente da perdere in una società capitalistica se non le loro catene. Oggi gli operai non solo devono liberarsi delle loro catene, ma sono l’unica possibilità di sopravvivenza del genere umano.

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